Nel luogo simbolo di rinascita e deistituzionalizzazione, l’ex manicomio trasformato 50 anni fa da Basaglia in Parco culturale, un convegno nazionale sul futuro delle imprese sociali: Mossino con PIAM al panel di apertura per ragionare sul concetto di accoglienza e sviluppo locale contro l’istituzionalizzazione del sociale

Un convegno di alto profilo, per discutere, approfondire e rilanciare il concetto di impresa sociale in Italia. In un luogo simbolico, il Parco culturale di San Giovanni a Trieste, l’ex manicomio trasformato da Franco Basaglia che qui iniziò la sua rivoluzione, lo smantellamento dei manicomi e dello stigma che si portavano dietro. Ebbene, Asti ci sarà: Alberto Mossino, presidente di PIAM, è tra i relatori della sessione di apertura del convegno in programma da giovedì 20 a sabato 22 ottobre (https://www.impresasociale2022.net/).

Il contributo di PIAM? Ragionare di accoglienza e sviluppo locale, accoglienza che si fa motore e valore per la cittadinanza, creando lavoro, servizi, luoghi, prodotti per il territorio. Contro il modello, invece, dell’istituzionalizzazione del sociale.

A Trieste – dove 50 anni fa nacque la prima cooperativa sociale italiana, la Cooperativa Lavoratori Uniti F. Basaglia, come strumento per superare il manicomio e restituire cittadinanza alle persone ricoverate – PIAM porta dunque il suo contributo a una discussione nazionale, ma con sguardi e interventi anche internazionali (qui il programma https://www.impresasociale2022.net/programma/), che proverà a delineare i problemi attuali e gli scenari futuri per il mondo delle imprese sociali, anche per cogliere le opportunità in arrivo con il Pnrr.

PER APPROFONDIRE

Il concetto di impresa sociale, per rispondere al suo obiettivo (“Per impresa si intende una intrapresa collettiva, una mobilitazione per affermare il primato del sociale – scrivono gli organizzatori del convegno – Il sociale, invece, va inteso come l’abilitazione di tutti e di tutte a vivere pienamente la vita che vogliono vivere”), ha bisogno di innovazione, di uno sforzo collettivo, pubblico e privato, per mantenerlo vivo e moderno.

E invece “Col tempo la forma cooperativa, che ha rappresentato lo strumento più diffuso di imprenditorialità sociale – spiegano ancora gli organizzatori del convegno – ha in vari contesti perso molti contenuti di mutualità e di coprogettazione con il pubblico, facendosi impresa con ben poco di “sociale”. E troppo spesso accettando di sostituirsi malamente allo Stato nella gestione in particolare di anziani, migranti, persone non autosufficienti, di servizi a basso contenuto tecnologico, frequentemente con contratti deprimenti. Bisognerà cominciare a chiamarle “imprese asociali”?

Proprio a partire dall’esperienza triestina, è sempre stata nostra convinzione che una reale risposta alle questioni poste dalla salute mentale debba travalicare ampiamente l’ambito disciplinare delle psichiatrie e delle psicologie. Le risposte debbono invece essere pratica di innovazione sociale con e per le comunità, avvalendosi di tutte quelle risorse professionali, culturali ed etiche in grado di interloquire utilmente con i bisogni reali delle persone e aggredire anche specifiche forme importanti di sofferenza degli individui. Enti, associazioni, gruppi sociali, cooperative, fondazioni, persone con specifiche esperienze, famiglie, artisti, giornalisti, narratori, insegnanti, imprese”.

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