RIPARTE DA ASTI IL DIBATTITO SULL’INTRAPRESA SOCIALE E IL FUTURO DEL TERZO SETTORE
“Al lavoro sociale, al terzo settore e alla cooperazione, viene oggi chiesto di fare welfare fuori dal sistema del welfare, di essere la “stampella” del welfare per sopperire alle mancanze del pubblico, però senza le risorse per farlo”. E allora come costruire nuove alleanze e che futuro immaginare per il lavoro sociale?
Così Alberto Mossino, presidente di PIAM onlus, apre la tappa piemontese di Intrapresa Sociale: il percorso collettivo, cioè, che riunisce sociologi, ricercatori universitari, psichiatri, cooperatori, amministratori e operatori sociali per ridefinire in Italia il ruolo del terzo settore, e disegnarne insieme il futuro.
Nel 2022 il gruppo si è riunito per la prima volta a Trieste nel Parco Culturale di San Giovanni, ex manicomio e teatro della rivoluzione di Franco Basaglia. Sono seguiti gli incontri di Napoli e Bologna, poi a giugno 2024 il cammino è ripreso in Piemonte, ad Asti, a villa Quaglina – centro di accoglienza per migranti di PIAM Onlus divenuto polo culturale – con nomi di rilievo come la sociologa Ota De Leonardis, lo psichiatra Thomas Emmenegger, il co-coordinatore del Forum Disuguaglianze e Diversità Andrea Morniroli.
L’Intrapresa Sociale e l’esempio dell’accoglienza, tra contraddizioni e nuove vie
In un contesto di frammentazione e disorientamento della società, “le intraprese sociali sono quelle imprese (organizzazioni, associazioni, collettivi, comunità)” che lavorano per “l’emancipazione delle persone e per la giustizia sociale”, come chiarì Franco Rotelli, lo psichiatra ex collaboratore di Franco Basaglia, scomparso lo scorso anno, tra i padri del concetto di Intrapresa Sociale.
E allora ecco oggi quelle organizzazioni, sedute intorno a un tavolo, a cercare nuovi sensi, nuove vie, a cercare modi per fare massa critica su temi chiave come la sanità, la scuola, le carceri, l’accoglienza.
La discussione della tre giorni di Asti è partita proprio da qui, dall’accoglienza, come esempio di un settore in difficoltà tra fondi sempre più ridotti e politiche contenitive, che ostacolano l’integrazione: “Si lavora in una situazione contraddittoria, una vera e propria “contraddizione basagliana” – spiega Ota De Leonardis, studiosa e docente di Sociologia all’Università di Milano – Lo Stato dà lavoro al terzo settore attraverso i bandi per la gestione dell’accoglienza, ma allo stesso tempo taglia i fondi e mette in difficoltà”. Una possibile via d’uscita, secondo Thomas Emmenegger – psichiatra svizzero che arrivò in Italia per lavorare con Franco Basaglia e presidente della Fabbrica di Olinda – “è immaginare un modo nuovo, altri fondi, altre strade per l’accoglienza”, senza quindi dipendere necessariamente dai bandi pubblici, “anche per riuscire a mettere in campo progettualità ventennali, che guardino avanti, e non solo ai 2 anni del bando. E poi, per come i bandi sono costruiti, magari dopo 2 anni arriva una cooperativa più grande che gioca al ribasso e si aggiudica l’appalto”. Gli esempi di realtà private e imprenditori che investono in progetti sociali e nel terzo settore, così compensando le lacune del pubblico, in Italia non mancano. Ma non su larga scala.
Secondo il fondatore di PIAM Onlus Alberto Mossino allora il futuro è nella collaborazione tra pubblico, privato e terzo settore: “Il pubblico da solo non ce la fa più in quanto non ha le risorse, il privato a volte pur avendo le risorse non sa come impiegarle in ambito sociale, e il terzo settore ha il sapere e le professionalità ma non ha la forza finanziaria o amministrativa – spiega – Se questi tre soggetti si mettono insieme possono nascere pratiche virtuose”.
Il senso del lavoro sociale
Più in generale si è discusso ad Asti del significato del lavoro sociale nel mondo attuale, “che è ancora, crediamo, strumento di emancipazione di persone e luoghi – spiega Kevin Nicolini, operatore sociale e consigliere comunale a Trieste – Ma spesso quel significato è sbiadito, a volte si perde identità, e allora serve ritrovarla. Anche attraverso l’alleanza con l’utenza: gli utenti, come è sempre stato a Parco San Giovanni, devono essere alleati, e non consumatori di un servizio”.
“La cooperazione sociale torni a fare politica e a essere scuola di partecipazione”, chiosa Andrea Maulini, cooperante di Trieste. Che vuol dire ad esempio, per Alberto Mossino, “alzare l’asticella delle buone pratiche, sperimentare e dare un servizio innovativo, anche quando i bandi non lo richiedono. Avere coraggio e fantasia, anche in tempi difficili, è fare politica”.
Camminare con un senso condiviso, “restare uniti, è la strada per fare del lavoro sociale un veicolo per contrastare la frammentazione della società”, aggiunge Ota De Leonardis.